domenica 27 agosto 2017

Prove di scrittura

La trasduzione è un fenomeno biochimico, una modalità di trasferimento genico, che può modificare il DNA ma, soprattutto, può operare trasformazioni radicali delle cellule, ricombinando determinati elementi in origine separati.
Con questa premessa, possiamo intuire che la "scrittura trasduzionale" proposta da Laura Grasso, un'artista poliedrica che spazia dalla musica alle arti visive, sia una scrittura che agisce in profondità, attinge al pozzo senza fine della creatività che ognuno di noi cela nel suo inconscio, e riesce a trasformare l'individuo, nel momento stesso in cui egli dà voce - con qualsiasi linguaggio artistico - ai propri "dèmoni" interiori.
Il termine "dèmone" è qui particolarmente azzeccato, perché questa riflessione sulla scrittura che Laura Grasso propone attraverso laboratori, corsi e conferenze, è oggetto del saggio (tesi di laurea che sarebbe bene qualche editore lungimirante pubblicasse) di una giovane studiosa, Livia Clemente, che ha eletto fra i suoi mèntori, lo psicanalista James Hillman: colui che ha regalato al mondo la teoria della psicologia archetipica, in cui i dèmoni rappresentano forze oscure dell'inconscio che, riconosciuti e accolti, diventano energie di guarigione.
Il titolo del saggio: "L'intuizione, dall'archetipo di Pan alla Scrittura Trasduzionale: un'esperienza poetica della cura".
La scrittura, praticata con una tecnica meditativa basata sul silenzio interiore e sull'abbandono alle potenzialità dell'intuizione (buddhi o intelletto intuitivo, direbbe il Vedanta), è il veicolo di un ricongiungimento, una sorta di accoppiamento amoroso fra la sostanza invisibile degli archetipi e la sua manifestazione nel mondo materiale. Una sorta di operatività magica, in cui il mago recepisce immagini archetipiche e le lavora plasticamente affinchè possano manifestarsi nella materia.
Foto di Jean Henry, "Pan e Siringa" This photo of Palais Longchamp is courtesy of TripAdvisor

Ma l'intuizione della giovane autrice, che ha potuto verificare empiricamente il suo progetto nel corso di una ricerca sulla scrittura trasduzionale nelle carceri, è andata ben al di là di questa cornice di riferimento teorico. Livia, infatti, aggancia la sua argomentazione al mito di Pan e Syringa, aprendo un territorio d'indagine molto più vasto della scrittura trasduzionale e, perfino, delle dinamiche che sottendono la nascita dell'opera d'arte. In libri mozzafiato, che trasfigurano letteralmente il lettore, come Saggio su Pan, Puer aeternus e La vaga fuga dagli dèi, James Hillman (junghiano, in origine, ma molto innovativo) traccia un discrimine netto fra il policentrismo  culturale, ma soprattutto psichico, delle culture classiche e il monocentrismo che caratterizza il cristianesimo. Nel mondo di Pan, prima della sua demonizzazione, non solo l'uomo era più familiare con l'essenza del "flauto di Pan" (cioè con l'attività magica di dare vita visibile all'invisibile), ma era anche più abile nel fare lavoro psichico con la propria anima, abitata da dèi benevoli e malevoli, ma sempre disposti a collaborare, restituendo all'uomo antico una collocazione armoniosa nell'universo, in dialogo con la natura e con le divinità. Una collocazione nella sfera dell'immaginale, luogo archetipico per eccellenza, definito da Henry Corbin e poi esplorato da Carl Gustav Jung, James Hillman e dalla sua allieva Selene Calloni Williams.
Nelle Metamorfosi, Ovidio narra che Pan restò folgorato da Syringa, figlia di una divinità fluviale, Ladone. E questo è già un fatto significativo, perchè evocare le acque, nella mitologia greca e non, suona come un campanello d'allarme. Infatti, l'acqua connota la vicinanza del sacro e, in particolare, dell'oltretomba (si veda Anita Seppilli: La sacralità dell'acqua e il sacrilegio dei ponti). La ninfa, inorridita dagli approcci di Pan, preferì lasciarsi trasformare in giunco palustre dal padre. Un giunco estremamente potente, se l'alfabeto Ogham l'ha incluso nel suo erbario magico, e possiamo intuire il perchè. Con la canna del giunco Pan costruì la magìa del suono come gesto artistico e sciamanico, come dialogo con l'aldilà.
Perciò, Pan rappresenta, non solo un ponte fra il conscio e l'inconscio (e cioè fra il divino e l'umano), ma anche un ponte fra la malattia e la guarigione. Nelle carceri, dove abita la più cupa malattia dell'anima, Pan ha portato la possibilità di attingere a parole risananti, perchè, in fin dei conti, Pan è nient'altro che un medicine man, uno sciamano che viaggia tra i mondi recuperando i frammenti d'anima che ogni sofferenza recide dal nostro petto. Oppure è un Orfeo che, con la cetra al posto del flauto, scende nel mondo sotterraneo per dialogare con le ombre degli antenati.
Non è un caso, credo, che Livia abbia passato lunghi periodi della sua vita in contiguità con popolazioni dell'America Latina in cui ancora si praticano le arti delle "antiche vie" che l'uomo percorre per ricongiungersi col sacro.




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