La trasduzione è un fenomeno biochimico, una modalità di
trasferimento genico, che può modificare il DNA ma, soprattutto, può
operare trasformazioni radicali delle cellule, ricombinando determinati
elementi in origine separati.
Con questa premessa, possiamo intuire che la "scrittura trasduzionale" proposta da Laura Grasso,
un'artista poliedrica che spazia dalla musica alle arti visive, sia una
scrittura che agisce in profondità, attinge al pozzo senza fine della
creatività che ognuno di noi cela nel suo inconscio, e riesce a
trasformare l'individuo, nel momento stesso in cui egli dà voce - con
qualsiasi linguaggio artistico - ai propri "dèmoni" interiori.
Il
termine "dèmone" è qui particolarmente azzeccato, perché questa
riflessione sulla scrittura che Laura Grasso propone attraverso
laboratori, corsi e conferenze, è oggetto del saggio (tesi di laurea che
sarebbe bene qualche editore lungimirante pubblicasse) di una giovane
studiosa, Livia Clemente, che ha eletto fra i suoi mèntori, lo
psicanalista James Hillman:
colui che ha regalato al mondo la teoria della psicologia archetipica,
in cui i dèmoni rappresentano forze oscure dell'inconscio che,
riconosciuti e accolti, diventano energie di guarigione.
Il titolo del saggio: "L'intuizione, dall'archetipo di Pan alla Scrittura Trasduzionale: un'esperienza poetica della cura".
La scrittura, praticata con una tecnica meditativa basata sul silenzio
interiore e sull'abbandono alle potenzialità dell'intuizione (buddhi o intelletto intuitivo, direbbe il Vedanta),
è il veicolo di un ricongiungimento, una sorta di accoppiamento amoroso
fra la sostanza invisibile degli archetipi e la sua manifestazione nel
mondo materiale. Una sorta di operatività magica, in cui il mago
recepisce immagini archetipiche e le lavora plasticamente affinchè
possano manifestarsi nella materia.
Ma
l'intuizione della giovane autrice, che ha potuto verificare
empiricamente il suo progetto nel corso di una ricerca sulla scrittura
trasduzionale nelle carceri, è andata ben al di là di questa cornice di
riferimento teorico. Livia, infatti, aggancia la sua argomentazione al
mito di Pan e Syringa, aprendo un territorio d'indagine molto più vasto
della scrittura trasduzionale e, perfino, delle dinamiche che sottendono
la nascita dell'opera d'arte. In libri mozzafiato, che trasfigurano
letteralmente il lettore, come Saggio su Pan, Puer aeternus e La vaga fuga dagli dèi,
James Hillman (junghiano, in origine, ma molto innovativo) traccia un
discrimine netto fra il policentrismo culturale, ma soprattutto
psichico, delle culture classiche e il monocentrismo che caratterizza il
cristianesimo. Nel mondo di Pan, prima della sua demonizzazione, non
solo l'uomo era più familiare con l'essenza del "flauto di Pan" (cioè
con l'attività magica di dare vita visibile all'invisibile), ma era
anche più abile nel fare lavoro psichico con la propria anima, abitata
da dèi benevoli e malevoli, ma sempre disposti a collaborare,
restituendo all'uomo antico una collocazione armoniosa nell'universo, in
dialogo con la natura e con le divinità. Una collocazione nella sfera
dell'immaginale, luogo archetipico per eccellenza, definito da Henry Corbin e poi esplorato da Carl Gustav Jung, James Hillman e dalla sua allieva Selene Calloni Williams.
Nelle Metamorfosi,
Ovidio narra che Pan restò folgorato da Syringa, figlia di una divinità
fluviale, Ladone. E questo è già un fatto significativo, perchè evocare
le acque, nella mitologia greca e non, suona come un campanello
d'allarme. Infatti, l'acqua connota la vicinanza del sacro e, in
particolare, dell'oltretomba (si veda Anita Seppilli: La sacralità dell'acqua e il sacrilegio dei ponti).
La ninfa, inorridita dagli approcci di Pan, preferì lasciarsi
trasformare in giunco palustre dal padre. Un giunco estremamente
potente, se l'alfabeto Ogham l'ha
incluso nel suo erbario magico, e possiamo intuire il perchè. Con la
canna del giunco Pan costruì la magìa del suono come gesto artistico e
sciamanico, come dialogo con l'aldilà.
Perciò, Pan rappresenta,
non solo un ponte fra il conscio e l'inconscio (e cioè fra il divino e
l'umano), ma anche un ponte fra la malattia e la guarigione. Nelle
carceri, dove abita la più cupa malattia dell'anima, Pan ha portato la
possibilità di attingere a parole risananti, perchè, in fin dei conti,
Pan è nient'altro che un medicine man, uno sciamano che viaggia
tra i mondi recuperando i frammenti d'anima che ogni sofferenza recide
dal nostro petto. Oppure è un Orfeo che, con la cetra al posto del
flauto, scende nel mondo sotterraneo per dialogare con le ombre degli
antenati.
Non è un caso, credo, che Livia abbia passato lunghi
periodi della sua vita in contiguità con popolazioni dell'America Latina
in cui ancora si praticano le arti delle "antiche vie" che l'uomo
percorre per ricongiungersi col sacro.
Io sono Zampa di Giaguaro, questa è la mia foresta e io non ho paura (dal film Apocalypto)
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